LE CONDIZIONI DI UNA PSICOTERAPIA FENOMENOLOGICA INTERSOGGETTIVA

30 Dicembre 2017

Giovanni Ariano

Si pone il problema di come strutture con regole diverse possano incontrarsi. Come il cane può capire l’uomo e viceversa. Sembra che questa risposta possa trovarsi nei diversi possibili gradi di immedesimazione nell’altro. Si ipotizza che una struttura più complessa possa essere capace di immedesimarsi in una struttura più semplice e non viceversa.
Questa ipotesi pone in primo piano il bisogno di affermare sia la possibilità che l’universo abbia delle regole comuni e delle regole individuali. Potremmo dire che emerge il bisogno di salvare sia il concetto di quantità che quello di qualità. Eliminare uno dei due riduce la complessità del mondo.( Bateson G.)

Sommario
Tutte le correnti di psicoterapia si muovono verso il recupero della soggettività ed intersoggettività. Questo lavoro indica sei regole/principi per una definizione univoca di questi costrutti. Esse possono essere di stimolo sia per un dialogo costruttivo tra le scuole e i modelli di psicoterapia, sia di stimolare la ricerca scientifica in psicoterapia al livello della “oggettività della intersoggettività”
1 Premesse
La psicoterapia, per farsi annoverare tra le “scienze”, ha dovuto sacrificare il proprio oggetto ossia “l’uomo in quanto capace di “consapevolezza di sé (sensazioni, emozioni, fantasie e pensieri), del mondo e nel mondo di altri simili a sé”. Ha sacrificato la capacità dell’uomo di decidere liberamene e responsabilmente in base alla sua visione del mondo. Ha ridotto l’uomo spesso a semplice comportamento, pulsione o organismo spontaneo. In una epistemologia costruttivista, con il nuovo costrutto di scienza, la psicoterapia lentamente sta riconquistando il suo oggetto ossia il “sofferente nel suo modo specifico di essere uomo”.
Nelle neuroscienze, modello molto di moda, la “soggettività e l’intersoggettività” stanno diventando parole fondamentali e tutte le correnti di psicoterapia (comportamentale-cognitiva, psicodinamica e umanistica-fenomenologica-esistenziale) fanno a gara per riconoscersi in esse.
Lo scopo di questo lavoro è focalizzare lo specifico dei costrutti di “soggettività ed intersoggettività”, dando un contributo alle neuroscienze, alla psicopatologia ed alla psicoterapia.
2 I principi
Nell’epigrafe di Bateson posta all’inizio dell’articolo si legge: “Potremmo dire che emerge il bisogno di salvare sia il concetto di quantità che quello di qualità”. Nel definire i concetti, preferisco il metodo europeo che cerca la formula attraverso cui una cosa è quella e non un’altra, evitando il metodo anglosassone che enumera una serie di contenuti. Questo metodo mi permette di identificare la qualità rispetto alla quantità, che nonostante la molteplicità degli elementi presi in considerazione, non riesce a definire in modo univoco ciò che si vuole affermare. La quantità è solo una grandezza che si usa all’interno della qualità che in questo lavoro identifico con il costrutto di “principi”. Di seguito descrivo i principi che permettono ad una psicoterapia di potersi considerare soggettiva ed intersoggettiva (= psicoterapia fenomenologica intersoggettiva).
2.1 Principio 1: Il costrutto soggettività include necessariamente che l’uomo deve essere “consapevole di”, “libero” e “responsabile” (Se riflesso soggettivo)
Per descrivere la capacità dell’uomo di essere “consapevole di” nelle correnti della psicoterapia si utilizzano diversi costrutti, che credo non colgano in pieno lo specifico di questa qualità. Costrutti quali “io narrante” (Martini, 1998, 2005,2006), “teoria della mente” (Baron-Cohen, 1995; 20002) , “mentalizzazione” ( Allen J. G., Fonagy P,, Bateman A. W, 2008, 2010) , “metacognizione” (Di Maggio, Lysaker, 2010,2011; Di Maggio, Montano, Popolo, Salvatore, 2013, ecc. rivelano la necessità di questa qualità dell’uomo ma ne descrivono la sua “eidos/essenza” in modo non univoco. Ognuno di questi costrutti ha molteplici significati, tra cui anche quello specifico di “consapevole di”. Quando si introduce un nuovo concetto in un ambito scientifico, bisogno essere tolleranti con la molteplicità delle parole che si usano per identificarlo, ma severi nella identificazione di quello che si vuole dire.
Quando mi relaziono ad un uomo, sano o malato che sia, per quanto possibile. mi interessa sapere quello che lui pensa di sé, del mondo e di me (altri come lui). Questa qualità è stata descritta lungo la storia col costrutto di “soggetto consapevole di”. Il sostantivo “consapevolezza” potrebbe essere un sinonimo, ma preferisco non usarlo perché nella terapia umanistica è usato per affermare il contrario ossia “un piano preconcettuale in cui non viene ancora stabilita una distinzione tra soggetto ed oggetto” (Riccardo Dalle Luche , Di Piazza in Totossian 19972, 20052; Ariano, 2013, 55-70). Perché ci sia soggettività è necessario che l’uomo abbia la capacità di essere oggetto di se stesso ossia sia soggetto ed oggetto insieme in modo coessenziale.
La riprova di quanto si sta affermando è data dalla sorte capitata ai costrutti di “libertà” e “responsabilità” nelle correnti della psicoterapia. Si va da un estremo di considerarli insignificanti (comportamentismo) all’altro di valorizzarli in modo così assoluto tanto renderli insignificanti. Nella fenomenologia e nell’ esistenzialismo la libertà si ferma al livello del soggetto e perde la sua cittadinanza nel mondo intersoggettivo. Una volta che il costrutto di “consapevole di” acquista la sua chiarezza e dignità, la libertà di agire in base alle proprie visioni del mondo ed essere responsabile dei propri atti diventa una naturale conseguenza.
Questo principio nel msi (Ariano, 2000; 2005) viene definito “Sé simbolico riflesso soggettivo”. Questo non è il luogo per descrivere se e come i diversi costrutti utilizzati nelle correnti di psicoterapia, nella fenomenologia e nell’esistenzialismo coincidono con quanto affermato in questo “costrutto/principio”.
2.2 Principio 2: l’uomo è un organismo vivente che intelligentemente si mantiene in vita (Se spontaneo individuale)
Abbiamo anche l’esperienza che l’uomo non agisce sempre al livello del sé riflesso. Quando guido la macchina, quando le dita della mia mano si muovono sulla tastiera del computer per scrivere, quando mi batte il cuore per paura o per amore, quando il mio respira si affanna o si rallenta tutto succede “spontaneamente”. Nel msi chiamiamo questa funzione dell’io “sé spontaneo”. Nelle correnti di psicoterapia sembra difficile mantenere distinti nell’unità uomo i costrutti di “sé spontaneo” e “sé riflesso”; spesso si assolutizza o l’uno o l’altro; molto più spesso si contaminano senza consapevolezza. Ci preme precisare che la parola “soggettivo” non si può riferire al sé spontaneo; a questo livello è più corretto parlare sé “individuale”.
Circa il sé spontaneo ed il sé riflesso, allo scopo di questo lavoro sono da focalizzare tre temi:
– Una ipotesi sull’origine sia del sé spontaneo sia del sé riflesso;
– Le similitudini e le differenze tra il sé spontaneo dell’animale e dell’uomo
– Una ipotesi sul rapporto del sé spontaneo col sé riflesso;
2.2.1 La culla del sé spontaneo e del sé riflesso
Noi esseri viventi nasciamo in un grembo che ci chiama all’esistenza e ci accudisce. L’ampiezza del nostro respiro è data dalla interazione col respiro di mia madre e col mio modo di reagire. Così per tutti i comportamenti. Noi li apprendiamo nel grembo/contesto in cui siamo gettati nella vita. In modo paradossale possiamo affermare che noi nasciamo nel sé spontaneo di mostra madre, della nostra famiglia, della nostra cultura. Le regole del “seno in cui nasciamo” che sperimentiamo come buone le apprendiamo e diventano il nostro sé spontaneo. In modo semplice, respiro, cammino, parlo nello stesso modo in cui respira, parla e cammina il “sé in cui sono nato”. Il sé spontaneo non è niente altro che una struttura vivente che agisce per la sua realizzazione al di qua della consapevolezza e della soggettività anche se in modo singolare/individuale. E’ in comunione con il contesto e si differenzia da esso sempre in modo preconsapevole.
Man mano che il sé spontaneo cresce, nell’uomo nasce la capacità di riflettere su di sé, ossia osservare le proprie convinzioni, giudicare i propri comportamenti e cambiarli in base ai propri giudizi. E’ la differenza tra me che scrivo al computer e il tecnico che crea o modifica i programmi di scrittura. Il sé spontaneo è un programma di scrittura; il sé riflesso è il tecnico che corregge i vecchi programmi e ne costruisce di nuovi.
Possiamo quindi concludere che la culla del sé spontaneo è il mondo vivente in cui nasciamo; i sé spontanei pur nella unicità della loro struttura sono infiniti quanti gli ambienti della vita.
Nel senso comune ed anche nella fenomenologia il sé riflesso (= io empirico, io trascendentale ed io puro per la similitudine che hanno con il sé riflesso) sembra avere un valore assoluto ed astorico; è l’apriori che permette di dare certezza ed assolutezza alle visioni del mondo, che l’uomo nella sua funzione riflessa crea. E’ difficile entrare nel mondo della soggettività e mantenere una certezza contingente ossia umana. E’ troppo ansiogena la certezza umana e il salto nella certezza assoluta presoggettiva è una tentazione difficile da superare.
A livello della soggettività credo indispensabile affermare che il “sé riflesso” nasce dal sé spontaneo ereditandone pregi e difetti. Ne eredita la forza e la sua contraddittorietà; ne eredita il rischio di andare in frantumi e di essere inconsistente. Ne eredita anche la possibilità di essere coltivato.
2.2.2 Similitudini e differenze del sé spontaneo dell’uomo e dell’animale
Tutti gli esseri viventi, sono una organizzazione spontanea che interagisce col mondo per la propria realizzazione e sopravvivenza. La struttura del sé spontaneo dell’uomo e quella degli animali in questo è simile. Cambia però il livello di funzionamento. In pratica gli animali muoiono per i loro sbagli; l’uomo impara dai suoi sbagli. L’animale per adattarsi all’ambiente ci mette millenni; l’uomo cambia i suoi programmi nell’arco di una vita. Questa possibilità gli è data sia perché mediante il sé riflesso l’uomo può correggersi senza morire, ma anche perché lo spontaneo dell’uomo nascendo in un contesto in cui esiste il sé riflesso è qualitativamente diverso rispetto al sé spontaneo degli animali. Lo dice molto bene Marleau –Ponty: “Ma l’irriflesso al quale si fa ritorno non è quello che prevede la filosofia o la riflessione. E’ l’irriflesso compreso o conquistato attraverso la riflessione”.
Rimando il tema del rapporto tra il sé riflesso ed il sé spontaneo dopo aver descritto il terzo principio.
2.3 Principio 3: Sé riflesso intersoggettivo
Ho coscienza di me e del mondo; sono consapevole anche che spesso agisco senza consapevolezza. Vedo che nel mondo in cui vivo esistono altri uomini che, come me hanno visioni riflesse sul sé e sul mondo.
Gesù dice che “è più facile vedere la pagliuzza nell’occhio dell’altro più che la trave nel mio”. Vedo che tra il comportamento spontaneo dell’altro ed il suo riflesso, ossia quello che lui pensa di sé, c’è una incoerenza. Devo ipotizzare anche che il mio interlocutore possa percepire la stessa cosa in me. Abbiamo anche la fortuna di poter prendere coscienza in prima persona della discrepanza tra il nostro sé spontaneo ed il nostro sé riflesso; a volte diventiamo consapevoli delle molteplici manovre che facciamo per evitare un tale insight.
Noi esseri umani, quando dialoghiamo dobbiamo tenere presente il nostro spontaneo ed il nostro riflesso; lo spontaneo ed il riflesso del nostro interlocutore. Le discordanze tra lo spontaneo e il riflesso che io vedo nel mio interlocutore e lui vede in me.
Nel msi tutte queste funzioni dell’uomo vengono sintetizzate nel costrutto di “sé riflesso intersoggettivo”. Questa complessità relazionale è una sventura capitata all’uomo o è la sua fortuna? Le risposte date a questa domanda dalle diverse correnti di psicoterapia possono considerarsi come un faticoso cammino per superare la discrepanza tra il riflesso e lo spontaneo delle singole scuole. Molte correnti di psicoterapia non si sono posto questo problema; altre cominciano ad intravederlo. La fenomenologia, che sembra la più ferrata su questo punto, per salvare la soggettività rende inconsistente il confronto tra soggetti e aborrisce il rischio di poter condizionare il suo interlocutore; afferma che bisogna fermarsi alla soglia del solo capirlo.
Nel mondo del sé riflesso intersoggettivo il problema di definire ciò che è salute o malattia, vero o falso resta. In questo mondo intersoggettivo esistono “molti mondi” a livello della soggettività che necessitano un confronto di crescita. La posizione dei fenomenologi che affermano che questi mondi esistono ed i costrutti di vero o falso sono insensati, convince poco e paralizza.
2.3.1 Rapporto tra sé spontaneo e sé riflesso
Nella unità uomo le funzioni del sé spontaneo e del sé riflesso hanno un rapporto circolare. Il sé riflesso nasce dal sé spontaneo, da cui può essere modificato e che a sua volta modifica in un movimento a spirale; ci si augura di crescita, all’infinito.
L’uomo spontaneamente risolve i problemi per vivere; quando incappa in nuovi problemi mediante la funzione riflessa trova nuove soluzioni che poi diventano parte integrante del sé spontaneo.
Sorge a questo punto la domanda: cosa guida il sé riflesso nel modificare il suo sé spontaneo e quello del suo interlocutore, il suo sé riflesso e quello del suo interlocutore. E’ la domanda classica del mondo presoggettivo posta a livello della soggettività ed intersoggettività: “cosa è vero e cosa è falso”, “cosa è salute e cosa è malattia”. Tenterò una risposta nella presentazione de prossimi principi.
2.4 Principio 4. Dalla “realtà” alla “evidenza naturale”
Quando si entra nel mondo degli esseri viventi, non esiste più una verità universale, ma ogni verità va declinata col singolo essere vivente. La pianta, il gatto e l’uomo cercano ciò che è il bene per loro. Ciò che può essere bene per la pianta può essere mortale per l’animale. L’universale ed il singolare diventano coessenziali. Ciò ci fa ritornare ad una convinzione medievale che ritiene che il vero, il bello ed il buono sono la stessa cosa. Gli esseri viventi cercano il loro bene e quindi si domandano che cosa è il bene, che cosa è la salute, che cosa è la verità. Nel mondo presoggettivo la verità e la salute si ipotizzava che stessero nella “realtà” che era unica ed universale e fuori del soggetto; l’uomo non doveva fare altro che scoprire ciò che già esisteva.
Nelle correnti di psicoterapia si sono usati molti costrutti per ripetere che la verità è fuori di noi e che noi dobbiamo solo scoprirla. La corrente psicodinamica sostiene che la verità è nell’inconscio (Freud, Jung); bisogna avere solo la pazienza di scoprirlo. La corrente comportamentale afferma, che i fatti sono verità al di là di ogni argomentazione (= contra factum non valet argumentum). La corrente cognitiva tratta le emozioni ed i pensieri con una epistemologia presoggettiva. La corrente umanistica utilizza il costrutto di tendenza attualizzante (Rogers) e quello di tendenza organismica (Perls) come realtà a cui dobbiamo adeguarci. La corrente fenomenologico-esistenziale usa molti costrutti [Presenza (Heidegger), Esperienza naturale (Binswanger), Slancio Vitale (Bergoson, Minkowski), Evidenza Naturale (Blankenburg)] cui bisogna adeguarsi (Ariano, 2005, 165-180). Mi colpisce continuamente l’utilizzo delle iniziali maiuscole di questi termini in quest’ultima corrente.
Nel mondo della intersoggettività, non esiste più una realtà fuori di noi cui dobbiamo adeguarci. Tutte i mondi/visioni sono esistenti e cercano un criterio che permette loro di incontrarsi per la crescita. Il problema della ricerca della verità/salute resta sia nella esperienza individuale sia nel dialogo intersoggettivo. Non basta dire che tutto esiste; sentiamo il bisogno di un confronto reale tra questi diversi mondi esistenti e sembra che non sappiamo/possiamo fare a meno del costrutto verità/salute. Il livello dell’evidenza naturale ci rivela l’essere non il dover essere; ciò che è stato per me salute e non ciò che lo è o lo sarà; ciò che è stato per me la verità non ciò che sarà per me la verità. Dobbiamo mantenere i contatti con l’evidenza naturale ma non possiamo delegare a lei la decisione di ciò che per ciascuno di noi sia salute o malattia, bene o male.
2.5 Principio 5. Il sé contingente e storico
Nel mondo della intersoggettività scopriamo che la verità ha infiniti volti quanti sono gli uomini che incontriamo. Tutti crediamo di possedere la verità. Questa consapevolezza mette davanti a noi tre possibilità:
• Ipotizzare che solo noi possediamo la verità e gli altri sono nell’errore (= posizione fondamentalista). In questa scelta esiste solo l’indottrinamento, delicato o violento, ma il dialogo non è possibile.
• Ipotizzare che non c’è niente di assoluto ma tutto è inconsistente (= posizione relativista). In questa scelta è possibile solo il soliloquio, in cui l’altro può diventare un uditore interessato o annoiato. Non esiste un criterio di confronto.
• Ipotizzare che esita un “Tu” che permette il dialogo. A questo livello non esiste una Verità/Realtà/Cosa, ma una Verità/realtà/Soggetto/Persona. In questa scelta può esistere solo il dialogo, in cui i soggetti, nelle rispettive diversità, hanno la stessa dignità.
Queste affermazioni sono sintetizzate nel msi nel costrutto di “sé contingente e storico”.
2.6 Principio 6. L’ipotesi di un TU che permette il dialogo intersoggettivo
In una psicoterapia fenomenologica intersoggettiva in teoria sono possibili le tre opzioni. In realtà se si vuole una psicoterapia che cura l’uomo nella sua soggettività ed intersoggettività, diventa reale solo la terza. Nella prima infatti il nostro interlocutore paziente/allievo/collega diventa solo un essere da modificare ed indottrinare per renderlo nostra immagine e somiglianza. Nella seconda tutto diventa insignificante non essendoci un criterio che permette il confronto.
L’ipotesi del Tu rivela delle opportunità creative inimmaginabili che permettono alla psicoterapia di diventare scienza rispettando il suo oggetto, ossia l’uomo soggetto. Richiamo l’attenzione solo su tre opportunità:
• Il Tu non può essere che un soggetto con cui io entro in relazione; deve quindi essere inserito nelle leggi di una relazione io/tu (relazione dialogica);
• Una vera relazione dialogica ha insita in sé il costrutto di incontro che fa crescere gli interlocutori nella loro capacità di autonomia; la crescita dell’uno è la crescita dell’altro; se l’altro/tu non è rispettato nella sua soggettività muore anche il soggetto/io.
• Il Tu è “la regola” che permette il dialogo senza poter essere posseduto definitivamente da nessuno degli interlocutori. L’esistenza di un Tu non ci vaccina né contro la contingenza, né contro il divenire, né contro l’angoscia di non sapere definitivamente se, sia come individui, sia come comunità, stiamo marciando nella giusta direzione. Se il Tu resta la stella polare che ci guida, il riconoscerlo ci è assicurato solo dallo sforzo continuo di cercarlo nel dialogo intersoggettivo e storico. Non c’è scienza o religione che possa lenire la nostra ansia di possederlo, assicurandoci di esserne i detentori. Solo la tensione di costruire dialoghi intersoggettivi, in cui il Tu fa da norma ci dona la serenità di sentirci in pace con noi, con l’altro e con il Tu.
3 Le correnti di psicoterapia in cammino verso una unità che nell’intersoggettività permette una infinità di modelli
Mi piace muovermi verso la conclusione di questo lavoro evidenziando come tutte le correnti di psicoterapia cominciano a riconsiderare l’importanza del “sé riflesso soggettivo ed intersoggettivo”. Nel lavoro abbiamo evidenziato i problemi che una tale scelta comporta. Ci colpiscono le reticenze dei fenomenologi e degli esistenzialisti nel temere che una psicopatologia ed una psicoterapia in cui il dialogo intersoggettivo che richiede la libertà degli interlocutori non può assurgere a scienza.
Binswanger afferma che “La Daseinsanalyse è soltanto una impresa scientifica e non terapeutica e non si occupa di processi psicoterapeutici” (Binswanger in Spiegelberg H., 1972). Jasper sembra viaggiare sulla stessa onda quando “considera (95) che lo psicoterapeuta agisce mediante una comunicazione esistenziale e si richiama alla libertà dell’altro e non in modo scientifico – al punto che è pleonastico parlare di psicoterapia esistenziale. Ogni psicoterapia è esistenziale e dunque non è possibile isolare una psicoterapia specificamente esistenziale” (Tatossian, 19972, 20052 , 23).
Nell’articolo si è voluto affermare che:
• La psicoterapia se non diventa soggettiva ed intersoggettiva perde il suo oggetto specifico ossia la cura dell’uomo sofferente consapevole di sé e degli altri.
• Il livello della intersoggettività richiede regole che non possono essere quelle del mondo presoggettivo.
• Una scienza rigorosa della soggettività ed intersoggettività è possibile e la psicoterapia deve muoversi a questo livello.
• I sei principi che ho descritto possono essere considerati l’orizzonte della psicoterapia del futuro che può incarnarsi in infiniti modelli.
• Il modello strutturale integrato (msi), cui abbiamo accennato nell’articolo è uno degli infiniti modelli nell’orizzonte di una psicoterapia fenomenologia intersoggettiva.
Per realizzare un compito così arduo “… più che altrove abbiamo bisogno non solo di conoscenze ma anche di entusiasmo e di fede” (E. Minkowski, 1997,1998, 167).31) e dobbiamo avere il coraggio di “non abbandonare mai il malato e non lasciarsi prendere dall’idea che non ci sono abbastanza soldi, abbastanza personale, abbastanza spazio per dare al malato il miglior trattamento possibile in quel momento” (Bleuler E., 1911,1985, 354).

Bibliografia
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Note sull’autore
Giovanni Ariano, psicologo e psicoterapeuta, presidente della SIPI e di Integrazioni. Direttore della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Integrata (SIPI). Da più di trent’anni si occupa di clinica, di didattica e di ricerca in salute mentale con particolare riguardo ai pazienti gravi, applicando il suo Modello Strutturale Integrato (msi). E’ autore di numerosi articoli e libri sulla psicopatologia e sulla psicoterapia pubblicati con diverse case editrici (Borla, Giuffrè, Armando, Franco Angeli). Tra questi ricordiamo: Diventare Uomo (Armando, 20152). Dolore per la crescita, (Armando, 2005). Con la casa editrice Sipintegrazioni: Esercizi di intersoggettività. I V(v)alori tra relativismo ed intersoggettività (2008), Il corpo muto. Diagnosi e cura dell’anoressia mentale (2010), Il Metodo Rorschach. Teoria e pratica secondo il msi (2014).